Regione Autonama Friuli Venezia Giulia

psicologo


Infortunio

11/05/2011

Mio figlio è un adolescente e gioca a calcio da quando aveva 5 anni. Qualche mese fa ha subito un infortunio che gli è costato tre mesi di riposo. Ora, a distanza di quasi sei mesi, l'ortopedico mi ha assicurato che non ha più il minimo problema ma lui insiste ad evitare allenamenti e partite. Ho la certezza che non sia cambiato il suo interesse per questo sport ma che abbia paura di ripetere l'esperienza dell'infortunio. Vorrei capire se e cosa è possibile fare per aiutarlo a superare il problema. Mi dispiacerebbe molto che per un problema del genere lui rinunci a praticare lo sport che adora da sempre.

Risposta dell'esperto:


Il problema infortunio è uno dei più delicati per un atleta. Entrano in gioco moltissime variabili, che vanno adeguatamente comprese. Ad esempio, nelle prime fasi post infortunio, l'atleta può sentire di non avere più il controllo sul proprio corpo, di dover dipendere da altri, o essere debole o inadeguato. Nella fase riabilitativa si provano spesso impazienza, noia e rabbia. Nel rientro in attività, spesso l'atleta non può fare pratica esattamente come i compagni, con un senso di incapacità e frustrazione. Le continue domande rispetto al proprio stato di salute e gli incoraggiamenti a essere "forte", poi, possono portare a sentirsi più frustrati e isolati invece che alimentare speranza e determinazione.

Ci sono poi altri fattori, che, nonostante il recupero clinico, dipendono da una distorta percezione del dolore. A questo aspetto si associa poi un aumento di tensione e ansia che va frequentemente in parallelo con difficoltà di attenzione (che si "ancora" su parti corporee specifiche non necessariamente quelle lesionate). Infine, può insorgere la paura di farsi nuovamente male. Qust'ultimo aspetto può diventare più grave quanto più lo sport praticato implica un contatto fisico. Inoltre la paura può riguardare anche il dubbio di non riuscire più a tornare "l'atleta di prima", fisicamente e tecnicamente.

Da quadro descritto, questi ultimi aspetti sembrano essere quelli più presenti nel caso dell'atleta. In queste situazioni è essenziale analizzare con accuratezza tutte le possibili sorgenti di problematicità. Nell'ipotesi che il problema sia la paura di infortunarsi nuovamente, potrebbe essere fondamentale far lavorare l'atleta sulla capacità di gestire meglio la reazione di paura, che non va necessariamente "subita" o "negata" ma, appunto, gestita in maniera nuova. Poi, il lavoro sulla capacità di controllare le reazioni di tensione ed ansia (ad esempio mediante biofeedback training) che sono intimamente legate alla paura, può aiutare ad abbassare il "livello di guardia" che un atleta normalmente prova e che gli fa percepire come potenzialmente pericolose anche situazioni che realisticamente non lo sono. Infine, può essere necessario aiutarlo a ristrutturare le proprie aspettative rispetto alla ripresa dell'attività in termini di obiettivi per lui "fattibili", realizzabili, e che possono dargli nuove sicurezze e motivazioni. In questo senso, potrebbe essere utile anche la collaborazione dell'allenatore dell'atleta, che potrebbe facilitare il suo rientro in attività in modo graduale e in totale sicurezza.

Gli psicologi esperti in ambito sportivo che lavorano a tutto tondo sulle problematiche connesse all'infortunio non sono molti ma alcuni operano anche sul territorio friulano.
Chiaramente, rispetto all'ipotesi di un intervento, l'ultima parola resta all'atleta, che deve poter essere bene informato su cosa/come si può fare, e che va rassicurato su fatto che le sue esigenze verranno rispettate prima di ogni altra cosa.


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